Sly Yacht – Sly 42 |
Di Marco Pasqualini
Lo Sly 42, assieme ai suoi fratelli maggiori e minori, rappresenta al meglio la nuova tendenza dei fast cruiser, improntati (per continuare a dirla all’americana) all’easy sailing.
Questo si traduce in una barca dal dislocamento contenuto, piano velico a bassa sovrapposizione, poppa aperta, doppia ruota del timone ed ampio uso del carbonio.
Il cantiere lavora ancora su piccoli numeri e pertanto ha tutti i pregi ed i difetti di queste realtà.
Il pregio maggiore è il rapporto diretto tra armatore e cantiere, cosa che permette all’armatore di seguire la costruzione della sua imbarcazione e, nei limiti del possibile, di personalizzarla secondo i propri gusti.
Il difetto maggiore è che lo sviluppo del progetto avviene sulla “pelle” dei singoli armatori e quindi, specie sulle prime barche, possono trovarsi alcune differenze anche sostanziali.
Non volendo fare una recensione modello rivista limiterò le mie osservazioni alla barca che conosco ed adopero, ossia la numero 3 della serie.
Osservandola da lontano non è una barca che passa inosservata, proprio per le caratteristiche sopraesposte. Indubbiamente farà storcere il naso agli amanti delle barche “classiche” ma d’altronde un nuovo cantiere, per ritagliarsi il proprio spazio, deve cercare di esplorare strade nuove.
Anche la colorazione grigio metallizzato (seppur tecnicamente giustificata dalla costruzione in epossidica) contribuisce ad attirare l’occhio ma fa subito risaltare gli inevitabili sfregamenti.
Negli interni l’armatore è invece rimasto più sul classico, scegliendo le paratie e buona parte del mobilio impiallacciati in buon teak (le prime due barche della serie avevano accostamenti cromatici più “innovativi”).
Rimanendo agli interni la configurazione praticamente imposta è quella tre cabine due bagni.
Personalmente avrei fatto a meno del bagno di prua per dare una maggiore ariosità (e praticità in regata) alla cabina, ma capisco che nel momento della rivendita i due bagni siano un “accessorio” quasi obbligatorio al giorno d’oggi su un 42 piedi.
Altra scelta che non condivido pienamente è la zona carteggio “contromano”, che sfrutta come seduta il divano di dritta. Anche questo però è dovuto al nuovo che avanza, sempre più pc e plotter cartografici e meno carteggio a mano.
Per concludere le due cabine di poppa gemelle, non enormi per la presenza di un vano tecnico tra di loro, sono comunque di forma regolare e ben sfruttabili. Il vano tecnico ha inoltre il pregio di razionalizzare molto gli impianti e concentrare i pesi.
Non mi dilungo oltre sugli interni in quanto ho usato la barca solo in regata e quindi non posso esprimere giudizi sulla vivibilità in crociera (la barca è comunque dotata di tutti gli impianti standard quali boiler, frigo, impianto 220V etc. etc.).
All’esterno le linee sono molto pulite, con la tuga bassa ed affusolata dotata di carter per le drizze.
Partendo da prua salta subito all’occhio il bompresso in carbonio retraibile che, una volta estratto tutto, porta la mura dell’asimmetrico due metri e venti oltre la prua.
Il sistema di estrazione/rientro non è però dei più scorrevoli (quello del First 34.7, seppur più semplice, ha una scorrevolezza maggiore) e questo a volte causa qualche problema nelle manovre più concitate.
Altro elemento caratteristico è la doppia posizione dello strallo di prua: per la crociera è previsto un avvolgitore incassato mentre per la regata lo strallo con tuff luff viene fissato ad una landa sul dritto di prua.
Questo permette un passaggio da una configurazione all’altra piuttosto veloce ed un guadagno di circa 20 cm di base nella versione “regata”.
Il gavone dell’ancora è piuttosto stretto ma molto profondo e consente l’installazione di un salpancore elettrico con relativo musone smontabile.
Subito a poppa è presente una cala vele di dimensioni non enormi ma comoda per riporre parabordi e vele avvolgibili come il drifter.
L’albero in carbonio a due crocette non è di regolazione immediata ma una volta trovata la giusta centratura non occorre toccarlo più di tanto, anche se dotato di mast jack di serie.
Arrivando a poppa il pozzetto è molto ampio, a volte pure troppo.
Specialmente il randista (che su queste barche lavora molto) sente la mancanza di un puntapiedi. L’unico appiglio sono infatti le colonnine dei timoni ma, se si manca l’appiglio, la fermata successiva è sull’altro bordo.
La mancanza di appigli è abbastanza cronica su questo esemplare, ma so che il cantiere sta provvedendo in questo senso.
Da rivedere, a parer mio, anche il circuito del carrello randa. Esso è posizionato sul fondo del pozzetto ed ha un’escursione più che corretta ma obbliga il randista (che deve controllare winch della scotta alla tedesca, centralina idraulica del paterazzo ed appunto carrello) a contorsioni un po’ eccessive.
Il timoniere ha a disposizione due ruote di dimensioni non enormi ma che consentono di sentire bene la barca (complice anche una pala del timone molto profonda di oltre due metri e dieci) pur con qualche gioco di troppo tipico delle timonerie doppie. Anche a lui due puntapiedi non farebbero schifo :-)
A vela la barca è molto divertente e veloce: di bolina assume subito lo sbandamento previsto da progetto e poi si ferma, rendendo una navigazione in equipaggio ridotto più facile di quello che può sembrare.
Sicuramente, come già detto, se si vuole sfruttare al meglio la barca occorre lavorare molto di randa, ma in una navigazione tranquilla basta scarrellare bene e la barca si raddrizza subito.
Le virate inoltre sono molto facili e poco faticose, merito indubbiamente del genoa steccato al 107%, una gran libidine per chi abituato ai grossi genoa al 140% o più.
Anche qui, per sfruttare al meglio la barca in regata, va presa la mano con l’utilizzo degli “inner” o barber che dir si voglia: una cattiva regolazione può voler dire anche 5° di differenza in risalita.
L’andatura dove ovviamente la barca da il meglio di se è il lasco, non appena si poggia e l’asimmetrico arriva in testa la barca schizza in avanti sfruttando gli oltre 200 mq di vela colorata.
Anche se nell’immaginario collettivo il gennaker è una vela più facile rispetto lo spi nella pratica richiede una certa applicazione e disciplina, infatti è fondamentale crearsi l’apparente per poi poggiare delicatamente e scendere.
Se si perde l’apparente bisogna subito orzare e ricominciare, pena rimanere con una vela afflosciata e gli avversari che ci superano da tutte le parti.
Indubbiamente però la strambata è meno complessa rispetto lo spi, ma con simili superfici è comunque obbligatoria una buona coordinazione tra timoniere, tailer e prodieri che recuperano la controscotta (anche in questo caso la caramella è in agguato :-)
In conclusione lo Sly 42 non è una barca da regata pura, ma consente di togliersi qualche soddisfazione senza rinunciare a tutti i comfort in crociera e soprattutto di andare a vela quando in tanti accendono il motore.
Le specifiche tecniche da cantiere:
Lunghezza fuori tutto – 12.80 m
Lunghezza al galleggiamento – 11.15 m
Larghezza – 3.80 m
Pescaggio – 2.50 m
Pescaggio ridotto – 2.25 m
Dislocamento – 6.900 kg
Ballast – 2.450 kg
Sup. vel.randa + fiocco 108% – 111 m2
Randa – 64 m2
Fiocco 108% – 47 m2
Gennaker – 180-220 m2
Motore – 40 Hp
Gasolio – 120 Lt
Riserva Acqua – 320 Lt
Link:
Per leggere le cronache delle regate di Aries, lo Sly 42 oggetto di questa recensione.
Il sito del cantiere Sly Yacht
complimenti al “recensionista”. Bella barca davvero. Mi piacerebbe farci un giro con vento al lasco sui 15 nodi! :–( )